Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 29 aprile 2024 n. 56, di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge 2 marzo 2024 n. 19, recante novità ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)

Nel confermare l’apparato sanzionatorio penale introdotto nel Decreto Legge n. 19/2024 con riferimento alla fattispecie di somministrazione illecita di manodopera (per un maggior approfondimento sul punto, si rimanda alla Circolare pubblicata sul nostro sito al seguente link: https://studiombc.it/inasprito-lapparato-sanzionatorio-in-caso-di-appalti-irregolari/), la Legge di conversione n. 56 del 29 aprile 2024 interviene nuovamente sulla disciplina degli appalti.

In particolare, la Legge modifica l’originaria previsione per l’individuazione del CCNL applicabile negli appalti e subappalti, disponendo che al personale impiegato debba essere riconosciuto un trattamento non solo economico (come previsto nel Decreto prima della conversione), ma anche normativo, complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato (e non più “maggiormente applicato”) dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto.

La norma si riferisce non solo agli appaltatori e subappaltatori, ma altresì ai committenti che, per il principio di solidarietà, non sono esclusi dall’obbligo di corretta applicazione del CCNL.

Quali sono, dunque, i rischi e le conseguenze che derivano da una errata individuazione ed applicazione del CCNL al personale dipendente impiegato negli appalti?

Quali sono le sanzioni applicabili in caso di violazioni?

  • Appalti e CCNL: cosa cambia con la Legge n. 56/2024

L’inasprimento del trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie di somministrazione illecita di manodopera (sia essa riconducibile allo schema giuridico dell’appalto o di distacco) non rappresenta l’unica importante novità che il Decreto Legge PNRR 4 – anche alla luce dei gravissimi incidenti che si sono recentemente verificati in alcuni cantieri – ha introdotto in materia di appalti e di sicurezza sul luogo di lavoro.

In realtà, la tematica degli appalti e dei subappalti è sempre stata oggetto di particolare attenzione da parte del nostro Legislatore, considerato che attraverso la riduzione dei costi – resa possibile agendo soprattutto sui compensi dei lavoratori e sulla sicurezza – si realizzano spesso forme di sfruttamento dei lavoratori e conseguenti condotte che assumono rilevanza penale.

Dunque, in aggiunta all’introduzione di sanzioni penali per gli appalti e distacchi illeciti, il Governo ha introdotto specifiche regole per l’individuazione del contratto collettivo sul quale misurare la congruità dei trattamenti corrisposti ai lavoratori operanti nell’appalto e nel subappalto.

La norma in questione (art. 29, comma 2) è stata oggetto di modifiche da parte del Legislatore in sede di conversione del Decreto Legge.

Infatti, la formulazione previgente dell’art. 29 stabiliva che: “Al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nell’eventuale subappalto è corrisposto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto”.

Il Legislatore, anche alla luce delle perplessità che la suddetta formulazione aveva destato soprattutto tra i professionisti del settore, ha riscritto l’art. 29, comma 2, nel modo che segue: “Al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto e del subappalto”.

Dunque, tutti i lavoratori subordinati impiegati negli appalti, a prescindere dalla tipologia contrattuale (siano essi lavoratori somministrati, che operanti in regime di distacco che assunti a tempo determinato), hanno il diritto di ricevere un trattamento economico e normativo complessivo non inferiore a quanto previsto dai contratti collettivi, sia nazionali che territoriali, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

E’ stato quindi eliminato il riferimento al contratto collettivo “maggiormente applicato”, che aveva suscitato non pochi dubbi a livello interpretativo.

La norma, inoltre, prevede quale ulteriore criterio di individuazione del contratto collettivo il fatto di essere “applicato nel settore e per la zona” dell’appalto.

Si tratta di parametri che possono essere oggetto di libera interpretazione, con riferimento soprattutto al concetto di “zona”; tuttavia, ciò che resta chiaro e che non è suscettibile di letture divergenti è il principio secondo cui non sia più possibile cercare espedienti per ridurre il costo del lavoro, applicando retribuzioni inferiori fissate da contratti collettivi che nulla hanno a che vedere con l’attività oggetto di appalto.

E’ evidente come la disposizione sopra indicata si riferisca principalmente ai titolari delle imprese che si sono aggiudicati l’appalto o il subappalto; tuttavia, la scelta del CCNL non può essere indifferente per il committente, il quale infatti, a fronte di un CCNL non in linea con la norma, potrebbe essere chiamato in giudizio a rispondere di rivendicazioni economiche e/o normative riferite a quello che sarebbe dovuto essere il corretto contratto collettivo da applicare, in virtù del principio di responsabilità solidale.

Peraltro, tali rivendicazioni potrebbero sussistere anche in presenza di un appalto o subappalto realmente genuino.

Pertanto, il committente, per tutelarsi, dovrà verificare attentamente quale contratto collettivo è applicato nella filiera dell’appalto, non solo con riferimento alla rappresentatività delle associazioni sindacali che lo sottoscrivono ma altresì con riferimento alla sua effettiva applicazione nel settore e nella zona strettamente connessi con l’attività oggetto di appalto.

  • I rischi per il committente e le sanzioni applicabili in caso di violazioni

Se, dunque, in caso di mancata corretta individuazione del CCNL il committente rischia, per il principio della responsabilità solidale, di essere citato in giudizio dai lavoratori che rivendichino trattamenti economici e normativi riconducibili al contratto collettivo che si sarebbe dovuto applicare, conseguenze ben più gravi si possono verificare in presenza di appalti o distacchi non genuini che danno luogo a fenomeni di intermediazione illecita di manodopera.

In primo luogo, dal punto di vista civilistico, la qualificazione dell’appalto come non genuino espone il committente al rischio di azioni promosse dal personale dell’appaltatore volte (i) alla costituzione in capo alla società committente di un rapporto di lavoro subordinato, oltre (ii) al pagamento di eventuali differenze retributive e relativa regolarizzazione contributiva (quest’ultima anche ad iniziativa dell’INPS).

In secondo luogo, sul fronte penalistico, come già sopra ricordato, il D.L. n. 19/2024 ha introdotto una nuova disciplina sanzionatoria volta a punire tanto l’utilizzatore (appaltante o distaccatario) che il somministratore (appaltatore o distaccante) con la pena dell’arresto pari ad un mese di carcere o, in alternativa, con la pena dell’ammenda di Euro 60 per ogni lavoratore ed ogni giorno di intermediazione illecita.

Vi sono poi delle circostanze che determinano un aumento delle pene:

– lo sfruttamento dei minori: arresto fino a 18 mesi e ammenda fino al sestuplo;

– la recidiva nei tre anni precedenti: aumento del 20%;

– la finalità specifica di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo (somministrazione fraudolenta): arresto fino a 3 mesi e ammenda di 100 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

In ogni caso, si ricorda che le pene pecuniarie proporzionali non possono essere inferiori a 5.000 né superiori a 50.000 Euro.

In terzo luogo, l’appalto non genuino può determinare rilevanti conseguenze dal punto di vista fiscale.

Infatti, secondo una costante giurisprudenza della Cassazione penale, potrebbe essere contestato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.lgs. 74/2000), con possibili riflessi sulla responsabilità della società ai sensi del D.lgs. 231/2001, considerato che si tratta anche di “reato presupposto”, per cui l’ente a cui venga ascritto l’illecito amministrativo rischia sanzioni interdittive e patrimoniali che possono essere caratterizzate da significativa afflittività.

Ed ancora, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, l’illiceità del contratto di appalto potrebbe determinare la non detraibilità dell’iva pagata sul corrispettivo dell’appalto, nonché l’indeducibilità del corrispettivo stesso ai fini dell’imposta sui redditi e dell’Irap.

Sul punto, si veda ad esempio la Sentenza n. 16302 del 27 gennaio 2022, nella quale la Cassazione penale ha affermato che “in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA (Cass. civ., Sez. 5, n. 34876 del 17/11/2021, Rv. 663136 – 01; Cass. civ., Sez. 5, n. 31720 del 07/12/2018, Rv. 651778 – 01; Cass. civ., Sez. 5, n. 22020 del 17/10/2014, Rv. 632765 – 01). In questa materia, infatti, non sussiste, nel caso di appalto non genuino, alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l’appaltatrice, è nullo con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA da parte della società contribuente (Sez. 5, n. 12807 del 26/06/2020, Rv. 658043 – 01)”.  La Cassazione penale, nella medesima pronuncia, prosegue affermando che “il delitto di frode fiscale D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 2 è astrattamente configurabile nel caso di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto emittente la fattura e quello che ha fornito la prestazione. Da ciò discende pure la configurabilità del concorso di reati fra la contravvenzione di intermediazione illegale di mano d’opera (D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 18) ed il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera”.

Sul tema si è di recente nuovamente soffermata la Cassazione penale, la quale con Sentenza n. 19595 del 10 maggio 2023 ha ribadito come “l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che dissimulano un’attività illecita di somministrazione di manodopera, mascherata dalla conclusione di fittizi contratti di appalto di servizi, D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29 integra una operazione soggettivamente inesistente stante il carattere dissimulato del contratto, integrando quella divergenza tra realtà fenomenica e realtà meramente giuridica dell’operazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, integra l’inesistenza di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. a) (…) che, quanto al versante dell’Iva, fittiziamente interposto apre la strada al recupero indebito dell’imposta stessa (…), mentre con riguardo all’imposta sui redditi, l’utilizzo della fattura che dissimula una diversa prestazione apre la strada alla detrazione di costi anch’essi fittizi perché non correlati alla prestazione reale essendo funzionale ad abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro che altrimenti le società non avrebbero potuto detrarre. In tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione”.

Ebbene, stante la gravità delle conseguenze potenzialmente connesse al contratto di appalto/subappalto, il committente dovrà necessariamente adottare degli accorgimenti nella selezione del fornitore per dimostrare la propria diligenza, tra cui:

– verifica della correttezza contrattuale degli appalti e dei subappalti;

– verifica dei documenti societari (visura, atto costitutivo, statuto e simili) per controllare la struttura;

– verifica dei bilanci e della loro regolarità fiscale (con apposita documentazione ad esempio dichiarazione Iva, modello di dichiarazione dei redditi, Cu, mod. 770) e contributiva (Durc);

-prova di ulteriori rapporti contrattuali intrattenuti dal fornitore con soggetti terzi;

– controllo dei prezzi praticati.

 

Lo Studio rimane a disposizione per l’analisi di casistiche specifiche.

 

Prato, 13 maggio 2024