Obblighi ed azioni per adeguarsi alla normativa europea entro il 2026

In data 17 maggio 2023 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva n. 2023/970, finalizzata a rafforzare l’applicazione del principio di parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza salariale ed i relativi meccanismi di applicazione.

La Direttiva ha come destinatari gli Stati Membri dell’Unione Europea, che saranno tenuti ad emettere le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi ad essa entro la data del 7 giugno 2026.

Gli Stati membri, tra cui chiaramente quello italiano, dovranno assicurare un regime di tutele e di informazioni sulla parità di retribuzione e su come la retribuzione stessa viene applicata nei rapporti di lavoro. Inoltre, i lavoratori che riterranno di aver subito un danno a causa di una violazione di un diritto o obbligo connesso al principio di parità della retribuzione, potranno chiedere ed ottenere un pieno risarcimento.

Secondo la Direttiva, la discriminazione retributiva è dovuta in larga parte alla mancanza di trasparenza. Conseguentemente, vengono introdotti:

  • obbligo di reporting dei divari retributivi e adozione di misure correttive, nel caso di differenze non giustificate da elementi oggettivi;
  • obbligo di trasparenza retributiva fin dalla fase di selezione (indicazione della retribuzione o dell’intervallo retributivo previsto per la posizione offerta);
  • diritto dei lavoratori a una informazione sui livelli retributivi chiara, completa e disaggregata per genere, entro un termine ragionevole (in ogni caso non superiore ai due mesi) dalla richiesta presentata in forma scritta;
  • maggiore coinvolgimento per i rappresentanti dei lavoratori e valutazione congiunta delle retribuzioni;
  • maggiore tutela del lavoratore che si ritiene leso della mancata applicazione del principio di parità retributiva (inversione dell’onere della prova e diritto al risarcimento integrale, senza previsione di massimale)

E’ chiaro come il principio di trasparenza retributiva, ed i meccanismi di applicazione ad esso correlati, richiederanno alle imprese l’adozione di un approccio strategico e proattivo, rispetto al quale sarà necessario in primo luogo sviluppare un piano di adeguamento interno efficace e tempestivo, seguito da una fase di assestamento iniziale e da successivi interventi mirati, procedurali e strutturali, che possano condurre ad un monitoraggio costante della corretta applicazione del principio sopra richiamato.

Si renderà inoltre necessaria una revisione ed un aggiornamento delle policy aziendali e dei contratti individuali di lavoro, nonché una mappatura delle retribuzioni attuali, così da garantire al meglio l’implementazione della Direttiva Europea.

 1. Premessa

Tenuto conto dell’inefficacia delle disposizioni contenute nella Direttiva 2006/54/CE (Direttiva pari opportunità) nel garantire il principio della parità di retribuzione, l’Unione Europea è nuovamente intervenuta con la Direttiva 2023/970 al fine di introdurre una serie di prescrizioni minime volte a rafforzare l’applicazione del principio di parità retributiva per lavoro identico o di pari valore tra uomini e donne.

La nuova Direttiva, quindi, interviene nell’ottica di limitare quanto più possibile episodi di discriminazione, mediante l’introduzione del meccanismo di trasparenza salariale che impone ai datori di lavoro la comunicazione di informazioni sui livelli retributivi durante l’intero rapporto di lavoro, dalla fase pre-assuntiva fino alla cessazione del rapporto stesso, prevedendo una serie di interventi correttivi nel caso di disparità salariali superiori al 5%.

Più nel dettaglio, la Direttiva impone di:

  • rendere pubblici i criteri di determinazione degli stipendi e delle progressioni di carriera;
  • fornire accesso ai lavoratori alle informazioni su stipendi medi per posizione e livello;
  • adottare misure attive per ridurre il divario retributivo di genere;
  • monitorare e rendicontare periodicamente le politiche salariali, comunicando i dati alle autorità competenti.

In sostanza, l’obiettivo primario a cui punta la Direttiva è che tutti i lavoratori, a parità di condizioni, guadagnino le stesse retribuzioni e che venga garantita una informazione che ne dimostri la parità.

Detta parità dovrà essere assicurata da tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati, ed a tutti i lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro come definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore nel nostro Paese, tenendo in considerazione anche quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

2. Ambito soggettivo della Direttiva

Come già sopra accennato, la Direttiva UE è rivolta a tutti i datori di lavoro operanti nei settori pubblico e privato.

Relativamente ai lavoratori, il Considerando 18 della Direttiva fa riferimento al personale a tempo indeterminato, parziale o con contratto di somministrazione, includendo inoltre il personale in posizione dirigenziale, con contratto di lavoro o rapporto di lavoro come definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro.

Secondo quanto stabilito dalla Core di Giustizia Europea, dovrebbero essere inclusi anche i lavoratori domestici, gli intermittenti o coloro che operano tramite piattaforme digitali, purché sussistano i requisiti del rapporto di lavoro subordinato.

3. Principio di neutralità e criteri retributivi

La Direttiva stabilisce il principio di neutralità della retribuzione rispetto al genere, sia nel settore privato che in quello pubblico, al fine di far emergere eventuali discriminazioni salariali.

Come viene chiarito dal Considerando 17 della Direttiva “L’applicazione del principio della parità di retribuzione dovrebbe essere rafforzata eliminando la discriminazione retributiva diretta e indiretta. Ciò non impedisce ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere e privi di pregiudizi, come le prestazioni e le competenze.”

L’applicazione del principio di neutralità retributiva, in sostanza, richiede che la parità di retribuzione venga raggiunta per uno stesso lavoro e/o per un lavoro di pari valore, intendendosi per “pari valore” un “lavoro ritenuto di pari valore secondo i criteri non discriminatori, oggettivi e neutri sotto il profilo generale” (art. 3, lett. g)).

I criteri di valutazione non devono fondarsi, direttamente o indirettamente, sul sesso dei lavoratori, ma devono riguardare le competenze, l’impegno, le responsabilità, le condizioni lavorative e altri fattori pertinenti alla specifica posizione lavorativa (art. 4, par. 4).

La Direttiva stabilisce che il principio della parità di retribuzione dovrebbe essere osservato “per quanto riguarda i salari, gli stipendi o ogni altro vantaggio, pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore a motivo dell’impiego di quest’ultimo”, specificando come “la nozione di retribuzione dovrebbe comprendere non solo lo stipendio, ma anche componenti complementari o variabili della retribuzione” i quali possono includere, tra l’altro, “bonus, indennità per gli straordinari, servizi di trasporto, indennità di vitto e alloggio, compensazioni per la partecipazione a corsi di formazione, indennità di licenziamento, indennità di malattia previste dalla legge, indennità obbligatorie e pensioni aziendali o professionali.”

Una novità di particolare rilevanza è rappresentata dall’estensione dell’applicazione normativa ai casi di discriminazione intersezionale, intesa come comportamento fondato sulla combinazione di forme di discriminazione basate su sesso, razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale.

4. Obblighi di trasparenza

Oltre al principio di parità retributiva, la Direttiva UE introduce l’obbligo di trasparenza salariale, in virtù del quale le imprese dovranno fornire dettagli chiari sulle modalità di calcolo degli stipendi per ciascun ruolo, garantendo l’assenza di discriminazioni ingiustificate.

La trasparenza deve essere garantita sia in fase pre-assuntiva, che in costanza di rapporto di lavoro.

In particolare:

  • Prima dell’assunzione

Le imprese dovranno comunicare già negli annunci di lavoro, o al più tardi durante i colloqui conoscitivi, le retribuzioni previste, specificando la retribuzione iniziale o la fascia retribuita correlata alla posizione lavorativa vacante, determinata da criteri oggettivi e neutri dal punto di vista del genere, oltreché dalle indicazioni fornite dal contratto collettivo di settore.

Inoltre, nei colloqui pre-assuntivi le aziende non potranno più chiedere al candidato informazioni sulla retribuzione percepita sino a quel momento.

I datori di lavoro dovranno inoltre provvedere affinché gli avvisi di posto vacante e i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione vengano condotte in modo non discriminatorio, così da non compromettere il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

  • In costanza di rapporto

La trasparenza salariale dev’essere garantita anche in costanza del rapporto di lavoro, per cui il datore di lavoro dovrà rendere facilmente accessibili ai propri dipendenti i criteri, oggettivi e neutri, impiegati per la determinazione della retribuzione, dei livelli di inquadramento e delle progressioni di carriera.

La Direttiva precisa che gli Stati membri potranno esonerare i datori di lavoro con meno di 50 lavoratori dall’obbligo relativo alla progressione economica, di cui sopra.

5. Diritto di informazione

Correlato all’obbligo di trasparenza, vi è il diritto di accesso alle informazioni riconosciuto ai lavoratori, i quali infatti, durante il rapporto lavorativo, avranno il diritto di ottenere per iscritto, entro un termine non superiore a due mesi, informazioni sul proprio livello retributivo e sui livelli salariali medi, disaggregati per sesso, relativi alle categorie di lavoratori che svolgono mansioni identiche o di pari valore. Dette informazioni devono includere la descrizione dei criteri utilizzati per la determinazione retributiva e l’avanzamento di carriera.

Il diritto all’informazione deve essere esercitato attraverso i rappresentanti dei lavoratori, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, ovvero tramite un organismo per la parità.

In caso di informazioni imprecise o incomplete, i lavoratori hanno diritto di richiedere chiarimenti e dettagli ulteriori, ricevendo una risposta motivata.

La disciplina in esame vieta espressamente l’inserimento di clausole contrattuali che impediscano ai lavoratori di divulgare informazioni sulla propria retribuzione o di richiedere informazioni relative alla propria o altrui retribuzione.

6. Comunicazione delle informazioni

L’art. 9 della Direttiva prevede che i datori di lavoro debbano fornire una serie di informazioni relative alla propria organizzazione ed ai divari retributivi di genere.

Detti obblighi di comunicazione sono modulati sulla base della forza aziendale.

Nello specifico:

  • le aziende con almeno 250 lavoratori sono tenute a fornire le informazioni relative all’anno civile precedente entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni anno;
  • le aziende che hanno tra i 150 e i 249 lavoratori sono tenute a fornire le informazioni relative all’anno civile precedente, entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni;
  • le aziende che hanno tra i 100 e i 149 lavoratori sono tenute a fornire le informazioni relative all’anno civile precedente, entro il 7 giugno 2031 e successivamente ogni tre anni.
  • Sotto i 100 lavoratori, le aziende potranno inviare le informazioni su base volontaria, a meno che non siano state indicate come soggetti obbligati dalle normative nazionali adottate dagli Stati membri in fase di recepimento della Direttiva.

Le informazioni devono essere comunicate all’autorità di monitoraggio incaricata della compilazione e pubblicazione dei dati. L’esattezza delle informazioni è confermata dalla dirigenza del datore di lavoro, previa consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, i quali hanno accesso alle metodologie applicate dal datore di lavoro.

7. Violazioni e strumenti di tutela a favore dei lavoratori

Qualora venga rilevato un divario retributivo superiore al 5%, le imprese sono tenute a condurre una valutazione congiunta delle retribuzioni, in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori. L’Ispettorato del lavoro e/o l’organismo di parità possono essere invitati a partecipare alla procedura.

La “valutazione congiunta”, come chiarito dall’art. 10 della Direttiva, è finalizzata ad individuare, correggere e prevenire differenze retributive tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile che non sono motivate sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere.

Trattasi, in sostanza, di un processo di verifica interna finalizzato ad intraprendere delle azioni correttive per l’eliminazione della discriminazione, la cui mancata attuazione in un arco di tempo “ragionevole” determina l’assoggettamento del datore di lavoro alla tutela risarcitoria nei confronti del lavoratore, secondo quanto sarà stabilito da ogni Stato membro.

L’art. 16 della Direttiva prevede che qualsiasi lavoratore che abbia subito un danno a seguito di una violazione di un diritto o di un obbligo connesso al principio della parità di retribuzione abbia il diritto di chiedere e ottenere il pieno risarcimento o la piena riparazione, come stabilito dallo Stato membro, per tale danno.

La tutela risarcitoria comprende il recupero della retribuzione arretrata e dei premi o pagamenti in natura, per cui di fatto il lavoratore che ha subito un danno viene posto nella posizione in cui lo stesso si sarebbe trovato se non fosse stato discriminato in base al sesso o se non si fosse verificata alcuna violazione dei diritti o degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione.

Il successivo art. 17 dispone ulteriori mezzi di tutela a favore del lavoratore che lamenti una violazione del principio di parità retributiva, stabilendo che le autorità competenti o gli organi giurisdizionali nazionali possano emettere, conformemente al diritto nazionale, su richiesta della parte ricorrente e a spese del convenuto:

  1. un provvedimento che ponga fine alla violazione;
  2. un provvedimento per adottare misure volte a garantire che i diritti o gli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione siano applicati.

In generale, la Direttiva prevede l’inversione dell’onere della prova a carico del datore di lavoro.

Qualora il lavoratore lamenti la violazione del principio di parità retributiva e il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi di trasparenza imposti dalla Direttiva, l’impresa deve dimostrare che la differenza salariale sia oggettivamente giustificata.

8. Strategie di preparazione per le imprese nel periodo transitorio

L’avvicinarsi della scadenza del 07 giugno 2026 per il recepimento della Direttiva UE 2023/970 richiede necessariamente alle imprese di adottare un approccio proattivo e strategico tale da consentire l’implementazione, nella propria organizzazione interna, delle nuove disposizioni di derivazione comunitaria.

  • Il nostro ordinamento mette a disposizione delle aziende alcuni strumenti di governance particolarmente utili ai fini di una promozione della cultura della parità di genere, tra cui il conseguimento della Certificazione della parità di genere, rilasciata da organismi di certificazione accreditati che operano sulla base della prassi UNI/PdR 125:2022, nonché l’adozione del Rapporto biennale sulla situazione del personale, quale strumento di monitoraggio ed analisi delle dinamiche retributive aziendali che consente l’identificazione precoce di eventuali criticità.
  • In aggiunta a ciò, sarebbe utile che le imprese, in vista del recepimento della Direttiva UE, intraprendessero un processo di mappatura delle retribuzioni attuali, al fine di analizzare in maniera sistematica tutti i ruoli aziendali attraverso metodologie basate su criteri oggettivi e neutri dal punto di vista del genere. L’analisi dovrebbe includere non solo le retribuzioni base, ma anche tutte le componenti accessorie, i benefit e le opportunità di crescita professionale.
  • Particolare attenzione deve essere rivolta all’identificazione di lavori di “pari valore” attraverso sistemi di valutazione trasparenti e documentati, che possano resistere a eventuali verifiche ispettive o contenziosi.
  • I processi di selezione, promozione e attribuzione dei superminimi dovrebbero essere sottoposti ad una revisione sistematica volta a garantire la neutralità rispetto al genere. Detta revisione dovrebbe interessare i criteri di selezione e valutazione dei candidati nelle procedure di assunzione, i parametri per la definizione delle retribuzioni iniziali e delle progressioni economiche, i meccanismi di valutazione delle prestazioni e di attribuzione di premi e incentivi, le procedure di promozione e avanzamento di carriera. È fondamentale che tali processi siano formalizzati attraverso procedure standardizzate e trasparenti, accompagnate da adeguata documentazione che ne dimostri l’oggettività e la neutralità.
  • Le aziende dovranno revisionare le proprie policy interne ed i contratti individuali di lavoro, tenendo conto dell’opportunità di inserire al loro interno clausole specifiche sui diritti di informazione dei lavoratori in tema di parità retributiva e trasparenza salariale. È necessario inoltre procedere all’eliminazione di eventuali clausole di riservatezza che potrebbero risultare incompatibili con le disposizioni della Direttiva, nonché all’integrazione di meccanismi di conciliazione finalizzati alla risoluzione di controversie in materia.
  • L’attuazione efficace dei principi contenuti nella Direttiva richiede altresì un percorso formativo interno strutturato e differenziato per le diverse categorie di personale coinvolte, che includa la formazione specialistica per i responsabili delle risorse umane e la sensibilizzazione del management sui temi della parità di genere e delle discriminazioni intersezionali, senza trascurare l’aggiornamento per gli amministratori e i responsabili delle relazioni sindacali sui nuovi obblighi informativi e procedurali. La formazione deve essere concepita come un processo continuo, con aggiornamenti periodici e momenti di verifica dell’efficacia degli interventi, e deve coinvolgere tutto il personale sui diritti e doveri derivanti dalla nuova normativa.
  • Un ulteriore elemento strategico è rappresentato dal dialogo con le rappresentanze dei lavoratori, finalizzato alla condivisione degli obiettivi e delle modalità di implementazione della Direttiva e alla definizione congiunta di criteri e metodologie per la valutazione delle retribuzioni, nonché ad elaborare protocolli per la gestione delle richieste di informazione e delle eventuali controversie.
  • Le imprese dovranno essere in grado di definire indicatori di performance per il monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate e di programmare audit periodici per la verifica del rispetto degli obblighi normativi.
  • Infine, nell’ambito di una valutazione costi-benefici, le imprese dovrebbero considerare gli investimenti necessari per l’adeguamento alla Direttiva non esclusivamente in termini di costi di compliance, ma valutando anche i benefici derivanti dalla riduzione del rischio di contenziosi e sanzioni, dal miglioramento del clima lavorativo e della motivazione del personale, dall’incremento della reputazione aziendale e dell’attrattività per i talenti, nonché dai vantaggi competitivi generati da politiche di diversità e inclusione efficaci.

 

Lo Studio rimane a disposizione per l’analisi di casistiche specifiche.

Avv. Francesca Bianculli

 

Prato, 29 settembre 2025