Il Dlgs 14/2019 (il nuovo codice della crisi), che entrerà in vigore il 15 agosto 2020, ha effettuato una riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali fino ad oggi contenute nella legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267).
La precedente legge disciplinava il fallimento in un’ottica di tipo punitivo: l’imprenditore fallito doveva essere espulso dal mercato, con conseguente liquidazione della sua attività. La riforma del 2019 è invece improntata ad un approccio di tipo preventivo, volto all’attivazione di strumenti e soluzioni che permettano di affrontare prontamente lo stato di difficoltà economica e finanziaria in cui versa l’azienda, in modo da evitare una vera e propria insolvenza.
Il fallimento, inteso come cessazione dell’attività, deve rappresentare la soluzione ultima, da attivare nei soli casi in cui non sia possibile una tempestiva adozione di misure idonee ad evitarlo. Occorre invece dare priorità alla trattazione delle soluzioni che possano garantire la continuità o la ripresa dell’azienda, a tutela della conservazione dell’attività aziendale e della salvaguardia occupazionale.
In questa prospettiva è stato sostituito il termine “fallimento” con la nuova espressione “liquidazione giudiziale” ed è stata introdotta una nozione di “stato di crisi”, intesa come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore.
Il carattere preventivo rispecchia uno degli obiettivi chiave della riforma: la conservazione dell’attività aziendale ed una maggiore tutela dei lavoratori coinvolti nelle crisi. A questo proposito il legislatore ha introdotto una serie di innovazioni, che, dalla data di entrata in vigore del decreto (15 agosto 2020) avranno delle ricadute importanti su alcuni istituti fondamentali del diritto del lavoro. In particolare l’articolo 189 del nuovo codice della crisi affronta espressamente la questione dei riflessi della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro subordinato. Abbiamo dunque per la prima volta una fonte normativa che introduce una disciplina specifica di collegamento ed armonizzazione tra procedure concorsuali e rapporti di lavoro, che è opportuno analizzare in vista della sua futura entrata in vigore.
- Procedure di allerta
Il legislatore ha innanzitutto individuato alcuni strumenti innovativi che consentono di portare alla luce e di individuare sul nascere le situazioni di crisi aziendale, spingendo così l’azienda in difficoltà ad intraprendere azioni di rientro dalla crisi, anche con il coinvolgimento dei propri creditori, primi tra tutti i lavoratori.
In quest’ottica sono state introdotte apposite procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, le quali muovono innanzitutto dall’imposizione di veri e propri obblighi di segnalazione in capo a soggetti qualificati, chiamati a svolgere una funzione di controllo e di prevenzione.
A tal proposito, il nuovo codice ha modificato i limiti oltre i quali scatta l’obbligo di dotarsi di appositi organismi di controllo anti-crisi (organi di controllo societari, il revisore contabile o la società di revisione). Tali organismi svolgono funzioni di monitoraggio e valutazione periodica dell’assetto organizzativo dell’impresa e dell’andamento della gestione ed hanno altresì il compito di segnalare immediatamente all’organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi di crisi (fase di allerta c.d. interna).
In caso di omessa o inadeguata risposta da parte dell’organo amministrativo, ovvero di mancata adozione nei successivi 60 giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, si apre la fase di allerta c.d. esterna: gli organismi anti-crisi devono informare, senza indugio, l’OCRI (Organismo di composizione della crisi d’impresa), affinché gestisca la fase di allerta ed il procedimento di composizione assistita della crisi.
Ulteriori obblighi di allerta fanno capo ai creditori pubblici qualificati (Agenzia delle entrate; INPS; Agente della riscossione delle imposte), anch’essi tenuti a rivolgersi all’OCRI. In particolare l’articolo 15 del nuovo codice della crisi impone all’INPS il dovere di segnalazione nel caso in cui il debitore sia in ritardo di oltre 6 mesi nel versamento dei contributi previdenziali di ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nell’anno precedente e superiore alla soglia di 50.000 Euro. In base alla nuova riforma il mancato versamento dei contributi previdenziali costituisce quindi una spia, una sorta di indizio dello stato di crisi in cui può versare l’impresa debitrice. - Liquidazione giudiziale
L’art. 189 del nuovo codice della crisi precisa che l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro, non costituisce di per sé motivo di licenziamento. I rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa vengono sospesi.
La sospensione opera fino a quando il curatore, su autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrare nei rapporti di lavoro, assumendone i relativi obblighi, o, in alternativa, comunica di recedere dagli stessi, con la loro conseguente risoluzione.
I rapporti di lavoro potranno quindi proseguire, nel caso sia possibile la prosecuzione o il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo. Quando non vi siano tali condizioni o comunque sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l’assetto dell’organizzazione del lavoro, il curatore procede invece al recesso dei relativi rapporti di lavoro. L’eventuale recesso disposto dal curatore produce i suoi effetti dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.
Il comma 3 dell’art. 189 prende poi in considerazione l’eventuale inerzia del curatore, prevedendo una ipotesi di risoluzione di diritto dei rapporti di lavoro: decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato, che non siano già cessati, si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.
Tuttavia, qualora il curatore ritenga sussistenti possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell’azienda o di un suo ramo, può proporre istanza al giudice delegato, per chiedere una proroga del termine di cui al comma 3. Tale istanza può essere presentata anche dai singoli lavoratori, ma in tal caso la proroga ha effetto solo nei confronti dei lavoratori istanti. Il giudice delegato, tenendo conto delle prospettive di ripresa o trasferimento dell’azienda, può assegnare al curatore un termine non superiore a 8 mesi per assumere le sue determinazioni. Qualora nel termine così prorogato il curatore non proceda al subentro o al recesso, i rapporti di lavoro subordinato, che non siano già cessati, si intendono risolti di diritto, con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.
In tale ipotesi, sorge a favore dei lavoratori sospesi il diritto ad ottenere un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità per ogni anno di servizio. Indennità che è ammessa al passivo come credito successivo all’apertura della liquidazione giudiziale, quindi come credito prededucibile. - Dimissioni e NASpI
Il comma 5 dell’art. 189 prevede che, trascorsi 4 mesi dall’apertura della liquidazione giudiziale, le eventuali dimissioni rese dal lavoratore si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 C.C. con effetto dalla data di apertura della liquidazione.
Nel caso di recesso del curatore, di licenziamento, dimissioni o risoluzione di diritto, l’art. 189 del nuovo Codice della crisi riconosce in ogni caso al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato:
▪ l’indennità di mancato preavviso;
▪ il trattamento di fine rapporto;
L’indennità di mancato preavviso ed il trattamento di fine rapporto sono riconosciuti come crediti anteriori all’apertura della liquidazione giudiziale ai fini dell’ammissione al passivo e, quindi, come credito privilegiato ai sensi dell’art. 2751-bis C.C. e non come credito prededucibile.
L’art. 189 e l’art. 190 del nuovo codice dettano altresì alcune disposizioni concernenti il contributo previsto dall’art. 2, comma 31, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, il c.d. contributo NASpI, che è dovuto anche in caso di risoluzione di diritto.
L’art. 189, comma 8, precisa innanzitutto che il contributo NASpI è ammesso al passivo come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale ai fini dell’ammissione al passivo.
L’art. 190 chiarisce invece che la cessazione del rapporto di lavoro derivante dalla apertura della liquidazione giudiziale costituisce perdita involontaria dell’occupazione, ai fini di quanto disposto dall’articolo 3 del D.lgs. 4 marzo 2015, n. 22. Il lavoratore ha dunque diritto al trattamento NASpI a condizione che ricorrano i requisiti previsti dal citato D.lgs. n. 22/2015. - Licenziamenti collettivi
Il comma 6 dell’art. 189 del nuovo codice della crisi introduce una procedura semplificata di licenziamento collettivo, ponendo alcune deroghe alla disciplina prevista dall’art. 4 della legge 23 luglio 1991 n. 223 con riferimento a:
▪ destinatari: la comunicazione di avvio della procedura deve essere comunicata, oltre che alle rappresentanze sindacali, all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove i lavoratori interessati prestano in prevalenza la propria attività e, comunque, all’ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale;
▪ contenuto: nella comunicazione è sufficiente la sintetica indicazione delle informazioni da fornire ai destinatari;
▪ esame congiunto: l’esame congiunto può essere convocato, oltre che dalle rappresentanze sindacali, anche dall’Ispettorato territoriale del lavoro, a condizione che la procedura di licenziamento collettivo non sia stata determinata dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo;
▪ termine: la consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo sindacale; il giudice delegato, per giusti motivi, può autorizzarne la proroga prima della sua scadenza, per un termine non superiore a dieci giorni.
Tale disciplina incontra un limite: non si applica nelle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese. - Trasferimento d’azienda o di un ramo d’azienda
Il nuovo codice della crisi interviene sul comma 4-bis e comma 5 dell’art. 47 della legge 428/1990, norma che definisce condizioni e portata della deroga alla disciplina dell’art. 2112 C.C. ad opera di accordi sindacali stipulati per far fronte a qualificate situazioni di difficoltà delle aziende.
Il codice della crisi prevede una nuova versione del comma 4-bis dell’art. 47, apportando due ordini di innovazioni:
▪ la prima riguarda le situazioni aziendali che possono essere assunte a presupposto dell’accordo sindacale affinché esso sia legittimato ad operare deroghe alla disciplina dettata dall’art. 2112 C.C.;
▪ la seconda riguarda gli effetti destinati ad accompagnare l’accordo raggiunto a conclusione della consultazione sindacale: il nuovo comma 4-bis precisa espressamente che rimane fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, quindi non possono essere poste deroghe all’art. 2112 C.C. per quanto riguarda la continuità dei rapporti in capo all’azienda cessionaria; mentre è possibile derogare la disciplina dell’art. 2112 C.C. solo per quanto attiene alle condizioni di lavoro dei dipendenti (anzianità o trattamenti retributivi).
La versione rivista del comma 4-bis appare evidentemente volta a limitare la portata degli effetti che l’accordo sindacale è in grado di produrre, al fine di evitare che attraverso di essi possa essere messa in discussione la salvaguardia dell’insieme dei rapporti di lavoro già facenti capo al cedente.
Inoltre il codice della crisi introduce una nuova versione del comma 5 dell’art. 47, attraverso la quale viene confermata la regola generale propria dell’art. 2112 C.C.: nel caso di procedure nelle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario.
Tuttavia, lo stesso comma 5 pone un correttivo: nelle stesse ipotesi possono comunque stipularsi accordi sindacali in deroga all’art. 2112 C.C., con finalità di salvaguardia dell’occupazione. L’accordo sindacale è dunque chiamato a modificare la regola della continuazione dei rapporti di lavoro.
Infine, l’ulteriore previsione del nuovo comma 5, abbandonando il livello degli accordi collettivi, considera anche la possibilità di accordi individuali, da sottoscriversi nelle sedi di cui all’art. 2113 ultimo comma C.C., nei casi in cui nel corso delle consultazioni non si sia raggiunto un accordo sindacale.