La riforma Whistleblowing: il rafforzamento delle misure di protezione e i nuovi adempimenti per il datore di lavoro: sanzioni da Euro 5000,00 a Euro 50.000,00 per la mancata implementazione e/o per l’attività ritorsiva a danno dei segnalanti.

Il 30 marzo 2023 è entrato in vigore il D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24, attuativo della Direttiva UE 2019/1937 (c.d. “Direttiva Whisteblowing”), con cui è stata aggiornata in Italia la disciplina riguardante la tutela dei soggetti che segnalano illeciti nell’ambito del lavoro privato e pubblico, con lo scopo di ampliare la platea dei soggetti coinvolti e le relative tutele.

Whistleblowing: cos’è?

La figura del cd. whistleblower (“colui che soffia il fischietto”) è stata elaborata negli Stati Uniti d’America per indicare l’individuo che denunci attività illecite all’interno dell’organizzazione di appartenenza. Alcuni ritengono che la nozione richiami la figura dell’arbitro che “soffia” il fischietto per segnalare un “fallo”: immagine accostata a quella del dipendente che denuncia un illecito.

Con il termine “whistleblowing” si intende dunque far riferimento all’attività di un soggetto (sia esso dipendente, collaboratore, professionista) che lavora all’interno di una azienda, pubblica o privata, e che decide di segnalare un illecito, una frode o un pericolo di cui è venuto a conoscenza durante lo svolgimento della sua prestazione lavorativa, derivante dall’attività del proprio datore di lavoro o di un collega anche di pari grado.

La disciplina del whistleblowing è finalizzata a prevenire comportamenti che travalichino i confini della legalità e che si concretizzino in violazioni di norme sovranazionali e nazionali, soprattutto in tema di anticorruzione; tuttavia, affinché denunce del genere possano essere incoraggiate, è necessario che colui che segnala l’illecito sia protetto da eventuali ritorsioni o vessazioni, già solo sul piano del clima lavorativo in cui offre la sua prestazione, potendo ad esempio beneficiare dell’anonimato.

La Direttiva UE 2019/1937 ha rafforzato la disciplina, ricomprendendo tra le categorie di rischi da segnalare anche le seguenti circostanze:

  • Frodi all’interno, ai danni o ad opera dell’azienda;
  • Pericoli sui luoghi di lavoro;
  • Danni ambientali;
  • False comunicazioni sociali;
  • Negligenze mediche;
  • Illecite operazioni finanziarie;
  • Minacce alla salute;
  • Casi di corruzione o concussione.

La disciplina previgente

Il whistleblowing è stato disciplinato per la prima volta in Italia nel 2012, con riferimento soltanto ai dipendenti pubblici in senso stretto, con esclusione dunque dei dipendenti degli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale e locale, nonché degli enti pubblici economici.

L’art. 1, comma 51, della L. 190/2012, infatti, ha introdotto l’art. 54 bis del D.lgs. n. 165/2001 rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”, realizzando una prima forma di tutela del dipendente pubblico che segnalava illeciti di cui fosse venuto a conoscenza in occasione del rapporto di pubblico impiego. In particolare, la norma disponeva espressamente il divieto di ripercussioni per il pubblico dipendente qualora segnalasse al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, all’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) o all’Autorità giudiziaria, condotte illecite da lui apprese.

Successivamente, è entrata in vigore in Italia la legge n. 179/2017 denominata “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, con la quale il legislatore ha inteso ampliare la platea dei lavoratori per la segnalazione di reati o irregolarità non solo al pubblico impiego (da intendersi in questo caso anche riferito agli enti pubblici economici o sottoposti a controllo pubblico), ma anche al settore privato. Tuttavia, la tutela del whistleblowing nel settore privato si era limitata ad una modifica del D. Lgs. n. 231/2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, prevedendo tra i vari adempimenti organizzativi e di controllo anche l’istituzione di un canale attraverso cui i dipendenti o collaboratori dell’azienda potessero segnalare eventuali condotte illecite a garanzia della riservatezza della loro identità. In ogni caso, le imprese avevano l’onere di garantire il divieto di atti ritorsivi o discriminatori nei confronti del whistleblower per le segnalazioni effettuate.

Le novità introdotte dal Decreto Legislativo n. 24/2023 e i nuovi obblighi per i datori di lavoro privati

Nonostante la Direttiva UE 2019/1937 avesse inizialmente previsto per il recepimento il periodo massimo di due anni, in Italia l’attuazione è avvenuta solo con il Decreto di attuazione n. 24/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 15 marzo 2023 ed entrato in vigore il 30 marzo 2023.

Le norme riguardano sia i datori di lavoro pubblici che quelli privati.

Quanto ai soggetti privati, il Decreto prevede date diverse entro cui scatteranno gli obblighi previsti dalla disciplina, e nello specifico:

  1. a. le imprese che hanno occupato, mediamente, negli ultimi dodici mesi, più di 249 dipendenti, debbono adeguarsi entro il prossimo 15 luglio;
  2. b. per le imprese che hanno occupato, in media, nell’ultimo anno, almeno 50 lavoratori dipendenti, gli obblighi scatteranno a partire dal 17 dicembre 2023;
  3. c. i datori di lavoro che, pur non raggiungendo tale ultimo livello dimensionale, hanno come genere di attività i servizi ed i prodotti finanziari, la prevenzione del riciclaggio e le misure atte a bloccare il finanziamento del terrorismo, la sicurezza dei trasporti e la tutela dell’ambiente, nonché quelli che adottano i modelli organizzativi exLgs. n. 231/2001, dovranno adottare le misure di adeguamento entro il prossimo 17 dicembre.

Per le modalità di calcolo dei dipendenti si applicano le regole generali stabilite dal nostro ordinamento: quindi, i lavoratori a tempo parziale dovranno essere computati “pro-quota” secondo le indicazioni dell’art. 9 del D.Lgs. n. 81/2015, quelli a tempo determinato secondo la previsione dell’art. 27 del predetto Decreto ed i lavoratori intermittenti, con le modalità stabilite dall’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015.

Per quanto concerne le condotte meritevoli di segnalazione, la disciplina di cui al D.Lgs. n. 24/203 si estende anche alle violazioni che possano ledere gli interessi dell’Unione Europea, nonché alle violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione Europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità della Pubblica Amministrazione o dell’ente privato, inclusi gli illeciti amministrativi, contabili, civili o penali. In continuità con il passato, vengono annoverate anche “le condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o violazioni dei modelli di organizzazione e di gestione”.

Rimangono, invece, escluse dal decreto le segnalazioni circa i rapporti individuali di lavoro e quelle in materia di sicurezza e difesa nazionale.

In merito all’ambito di applicazione soggettiva della disciplina, il Decreto di attuazione include tra i soggetti tutelabili anche collaboratori autonomi, liberi professionisti, volontari, azionisti e amministratori della società.

La tutela delle persone che segnalano va oltre il mero rapporto di lavoro e si estende anche a situazioni venute a conoscenza dell’interessato durante la fase precontrattuale o durante la procedura di selezione. La tutela deve sussistere anche durante il periodo di prova o alla fine del rapporto di lavoro, quando lo stesso si sia estinto.

Il Decreto di attuazione prevede l’obbligo, in capo ai datori di lavoro destinatari della disciplina, di attivare canali di segnalazione interni che garantiscano la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione (la protezione riguarda quindi anche i soggetti segnalati e i c.d. “facilitatori”).

Ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. n. 24/2023, l’identità della persona segnalante e qualsiasi altra informazione da cui può evincersi, direttamente o indirettamente, tale identità non possono essere rivelate, senza il consenso espresso della stessa persona segnalante, a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni. Inoltre, il medesimo articolo sancisce altresì che “Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità”.

La garanzia dell’anonimato viene riconosciuta non solo a tutti i soggetti che segnalano, ma altresì ai c.d. facilitatori, che possono essere colleghi, parenti o affetti stabili di chi ha segnalato.

La gestione del canale interno di segnalazione potrà essere affidata ad una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato per la gestione del canale di segnalazione, oppure ad un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato.

Le segnalazioni potranno essere rese in forma scritta (anche tramite e-mail), in forma orale (attraverso apposite linee telefoniche o sistemi di messaggistica ad hoc) oppure, su richiesta specifica del segnalante, attraverso incontri diretti.

Una volta ricevuta la segnalazione, la persona o l’ufficio interno ovvero il soggetto esterno cui è affidata la gestione del canale di segnalazione interna:

  • rilascia al segnalante l’avviso di ricevimento della segnalazione entro 7 giorni dalla data di ricezione;
  • mantiene l’interlocuzione con il segnalante e può chiedere integrazioni, se lo reputa necessario;
  • deve dare diligente seguito alle segnalazioni ricevute, informando il segnalante sul procedere dell’istruttoria e comunicando l’esito della stessa entro 3 mesi dalla data dell’avviso di ricevimento, o, in mancanza, entro 3 mesi dalla scadenza del termine di 7 giorni dalla presentazione della segnalazione;

I segnalanti, in determinati casi, hanno altresì la possibilità di rivolgere segnalazioni esterne direttamente all’ANAC, un canale di comunicazione indipendente e autonomo, ad ulteriore garanzia dell’efficacia della disciplina.

La nuova disciplina prevede altresì che le imprese informino i lavoratori circa l’esistenza dei canali di segnalazione, pubblicando un’informativa chiara, esplicativa e facilmente accessibile sia sul luogo di lavoro che sul sito internet, circa le procedure ed i presupposti per effettuare le segnalazioni, sia interne che esterne.

Le aziende saranno quindi chiamate a fornire informazioni trasparenti riguardo al canale, alle procedure per effettuare le segnalazioni interne ed esterne, per gestire in modo conforme segnalazioni pervenute mediante vari canali.

L’art. 17 del D.Lgs. n. 24/2023 sancisce espressamente il divieto di qualsiasi atto ritorsivo nei confronti di chi segnala le presunte irregolarità, indicando al comma 4 talune fattispecie integranti ipotesi di ritorsione, tra cui il licenziamento, la sospensione, o misure equivalenti, le mancate promozioni o le retrocessioni di grado, il mutamento delle mansioni, il trasferimento, la modifica dell’orario di lavoro, l’ostracismo e le molestie, la discriminazione ed il trattamento sfavorevole, il mancato rinnovo o a risoluzione anticipata di un contratto a tempo determinato. In caso di contenzioso, l’onere di provare che queste condotte sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione è a carico di chi le ha poste in essere.

L’art. 21 individua le sanzioni che l’ANAC (Autorità per l’anti corruzione) deve irrogare qualora accerti alcune violazioni in materia di segnalazione e di mancata istituzione di canali di segnalazione. Sono sanzioni di natura pecuniaria pesanti, di importo variabile compreso tra i 10.000 ed i 50.000 Euro (da 5.000 a 30.000 Euro per attività ritorsiva a danno del segnalante; da 10.000 a 50.000 Euro per mancata implementazione dei canali di segnalazione).

Da ultimo, si segnala che ai sensi dell’art. 22 del citato Decreto, le rinunce e le transazioni, integrali o parziali, che hanno per oggetto i diritti e le tutele previsti dal D. Lgs. n. 24/2023 non sono valide a meno che non siano state effettuate presso uno degli organismi previsti dal Legislatore (commissione di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato Territoriale del Lavoro, sede sindacale, commissione di certificazione, negoziazione assistita, in sede giudiziaria, ecc.).

Lo Studio rimane a disposizione per l’analisi di casistiche specifiche.

Prato, 2 maggio 2023